Rimane Piazza Tahrir

È opinione ormai diffusa che nella realtà egiziana ormai Piazza Tahrir costituisca a tutti gli effetti un potere in conflitto con gli altri. La realtà egiziana in verità, non senza colpevoli semplificazioni, potrebbe essere letta proprio a partire dallo stato dei rapporti di forza tra la piazza ed il ceto militare determinato a mantenere la sua rendita di potere. Un anno dopo la rivoluzione le elezioni presidenziali appena svoltisi certamente fotografano lo stato dell’arte. La rivoluzione non è riuscita a proporre il suo candidato, soprattutto perché incalzata sul terreno sociale da una forza ben radicata come i Fratelli Musulmani e su quello politico dall’esercito, che ha teso a spegnere i fuochi dell’insurrezione ed isolarne i militanti allo scopo di stroncare sul nascere mutamenti ben più radicali.

Certo la rivolta è riuscita a provocare la caduta di ben due governi provvisori ed insidiare in tal modo per davvero la supremazia dei militari nella politica egiziana. Nel frattempo però due fenomeni sono intervenuti ad inceppare il processo rivoluzionario: da una parte come detto il proletariato metropolitano la cui rivolta ha così ispirato il mondo non è riuscito a proporre un candidato favorevole alle sue istanze (alcune speranze erano state riposte nel candidato demo-islamico Abel el-Futuh, moderatamente conservatore sul piano morale e socialdemocratico su quello sociale) e dall’altra conseguentemente si è andati verso una riproposizione della collaudata formula: o noi militari o il caos, alternativa che non lasciava certo alcuno spazio alla Rivoluzione. Continue reading →