#8marzo , questione femminile e questione maschile

L’8 marzo volge al termine…. festa tanto amata e tanto bistrattata. Facciamocene una ragione: l’Italia è un Paese maschilista ed il maschilismo permea ogni spazio culturale che vi si apre. Partire da questo presupposto è l’unico modo per non cadere nel tranello dei discorsi stupidi.

Quante volte si sente dire: “hanno avuto così tanti diritti, che altro vogliono?”. Il punto è che i diritti sono un elemento che s’incastona in un tutto sociale senza scalfirlo nella sostanza. La donna ha il diritto di voto, ha il diritto di proprietà, ha il diritto a chiedere il divorzio ed è, più o meno, padrona del suo corpo: ma queste possibilità si declinano all’interno di una società che più che maschilista, definirei misogina.

Guardiamo alla prima metà del cielo, quella che si arroga il diritto di essere la “prima”, la categoria a cui anch’io appartengo: l’uomo. Un modo per misurare il grado di maschilismo della società può essere il misurare la violenza misogina che si abbatte sugli stessi “maschi”. Un uomo può permettersi molti comportamenti che sono tabù per l’altro sesso: un’ostentata libertà sessuale, un certo grado di competitività e di arroganza, ecc. Ma guai a mantenere comportamenti “contrari”, guai ad essere “femminili”. La scuola, in questo senso, è una palestra terribile: s’impara che per essere rispettati occorre mostrarsi sufficientemente “uomini”. Non è che puoi permetterti di lavorare a maglia… e guai se provi a dare una mano nei lavori di casa. Persino la timidezza è vista in cattiva luce.

Oddio, poi ognuno fa come vuole ed ad andare contro corrente s’impara presto. Ma ci sono piccole violenze che noi maschi subiamo quotidianamente. Si esce in gruppo ed una ragazza potrebbe essere “disponibile” nei tuoi confronti: subito il gruppo fa pressione perché tu sia uomo e ti faccia avanti. Anche se a te non va (in fondo, se sei uomo “devi pensare solo con i lombi” e non puoi permetterti riflessioni o tempi altri).

È il femminile che non va nell’uomo. Deve essere estirpato, magari ostentando le virtù contrarie. E nelle donne, questi valori sono tollerati… a patto da essere comunque considerati, diciamolo, un po’ inferiori.

Sono stato spesso tentato di buttare giù un articolo od un saggio più complesso sulla condizione maschile all’interno della società maschilista. Però, se questa fenomenologia della violenza sull’uomo può essere interessante e rivelatrice, diciamo anche chiaramente che non è che l’ombra di quella che riceve ogni giorno l’altra metà del cielo – espressione che da sola, come già accennato, rivela un impianto culturale fallocentrico.

Le donne vivono nel nostro Paese condizioni talvolta drammatiche: oggettivamente sfruttate nel lavoro, maltrattate in famiglia e spesso subordinate ai loro “compagni”. Donne che rinunciano ai loro sogni, ai loro studi, ai loro desideri anche più banali perché il fidanzato decide che è giunto il momento di creare un nucleo familiare: quindi è giusto che lei sacrifichi il resto al sacro focolare familiare.

Non sono certo la persona più indicata a fare l’elenco delle violenze quotidiane che questa società (e molto spesso noi uomini direttamente) infliggiamo al genere femminile. Però prendete una ragazza, tingetele i capelli biondo platino e fatela passeggiare per le vie del centro di Palermo…. poi contate tutte le volte che qualcuno fa un apprezzamento o le dà della “pulla”. Un esperimento che vale più di mille statistiche.

Ma allora, che si fa? Per uscire da una società misogina, bisogna rimettere in discussione gli stessi concetti “maschio” e “femmina”. Soprattutto di “maschio”, una categoria lasciata spesso a se stessa, visto che considerata “scontata”. Il vero ed unico limite di una certa letteratura e di un certo pensiero femminile è l’assenza di una profondità della lettura del “maschile”… ed è una mancanza tragicamente naturale all’interno di un contesto che proprio dai valori “maschi” vuole emanciparsi.

Un’assenza, per fortuna, non totale e perfettamente recuperabile. Ma solo se, fra le altre cose, gli uomini smetteranno di pensare a come raffrontarsi con la “questione femminile”, mettendo prima in gioco loro e la loro identità. Impariamo dall’autoanalisi propria di certe autrici a calibrare la questione del genere verso una reale emancipazione, almeno del nostro io singolo. Fino, magari, a giungere all’emancipazione dal genere ed a riscoprire l’individuo nel suo essere, in fondo, sempre e comunque un po’ uomo ed un po’ donna.

E per i prossimi 8 marzo, invece di regalare mimose, potremmo cominciare a regalare copie de L’Arte della Gioia di Goliarda Sapienza agli uomini. Scoprire cosa possa essere una donna, al di là delle maschere che indossano ogni giorno è uno shock, forse, necessario.

Simenza

1 comment so far ↓

#1 Cos’è l’8 marzo oggi? « BulmA's Blog on 03.12.12 at 12:06

[…] questo articolo che è un ottima analisi della “questione femminile e questione maschile” e mi auguro […]