Piazza Fontana: un libro, un film

È nelle sale da qualche giorno ormai il film di Marco Tullio Giordana Romanzo di una strage sui fatti di Piazza Fontana dell’ormai lontano 12 Dicembre 1969. L’ambizione del film è certamente grande e la missione deve essersi presentata fin dal primo momento impegnativa (a partire dal titolo che si riferisce al celebre articolo di Pasolini del 1974), tuttavia avendo visto con molta attenzione il film e non essendo totalmente a digiuno di informazioni riguardo al tema, il risultato è stato a mio avviso decisamente deludente.

Non sono certo il primo a dirlo, da giorni infatti le polemiche infuriano sui giornali e manifestano in maniera fin troppo evidente quanto questo passato non ci sia indifferente. Proprio per questo non vorrei considerare queste polemiche nella loro interezza come uno sterile esercizio o una resa di conti posticcia fra reduci e trovare in esse o quantomeno nei migliori interventi che si sono letti, la reazione ad una certo modo di fare storia tutto contemporaneo. Ai tempi della strage non ero neanche nei più remoti sogni di chi mi ha messo al mondo, pertanto appartengo a quella generazione di “ignoranti” che rimane sempre un po’ sullo sfondo delle polemiche fra reduci e che viene invocata a volte con paternalismo, a volte con disprezzo, a volte con intenti più costruttivi: siamo noi insomma in poche parole la traccia spettrale o una delle tracce spettrali (per dirla con Derrida) di questi discorsi e come tali sentiamo, io credo, il bisogno di emergere e dire la nostra.

Come ho detto sono abbastanza informato sull’argomento, la cui importanza per comprendere il nostro paese, per orientarsi nel presente è superfluo ricordare. Credo però che per un ragazzo meno informato di me la visione del film potesse risultare più ostica, difficile infatti orientarsi fra le decine di nomi, fatti, volti, di una vicenda così intricata che il film tratta a mio avviso più come vicenda criminale che come vicenda politica e forse questo è il suo primo grande limite. Rifiutando infatti il paternalismo di cui sopra non credo che il film debba essere fatto per chi non sa e che comunque potrebbe informarsi, quanto piuttosto per avere banalmente qualcosa da dire a riguardo e dopo tutti questi anni molte sarebbero le cose da dire senz’altro. Forse il vero problema quindi non è quello di investire lo spettatore vecchio o giovane di fatti su cui scervellarsi o fare ipotesi improbabili, non è il materiale grezzo che manca, è forse più che altro il metodo per orientarsi.

Andiamo con ordine: il film come detto ha una vocazione più che altro poliziesca, che rinuncia quindi giocoforza sia alla denuncia civile, sia a far spazio alle passioni ed emozione vere del tempo, sia a ridare vita al contesto politico della vicenda e renderlo comprensibile. È certamente una scelta, ma una scelta che avrebbe dovuto comportare determinate conseguenze e dare un altro indirizzo al film (che invece sembra a tratti aspirare alla denuncia sociale).

In secondo luogo, laddove latita la politica arriva il facile moralismo, il senso edificante della vicenda: i buoni e i cattivi. Pinelli, Calabresi, Moro (a cui il film attribuisce una controinchiesta ad alti livelli che rivela la matrice fascista e golpista della strage) tutti sotto lo stesso ombrello dell’integrità personale, che li rende soli in un paese in cui losche trame si tessono dietro le quinte.

Questo è forse il rischio più grande di questo film e lo è proprio perchè è il messaggio più profondo che la generazione sessantottina alla smobilitazione intende lasciare ai “giovani”. Come è possibile inventarsi un’amicizia tra il commissario Calabresi e l’anarchico Pinelli, che proprio dalla finestra dell’ufficio del primo cadrà misteriosamente tre giorni dopo la strage in seguito ad uno sfibrante interrogatorio fuori da ogni norma? Ci sarà stato forse rispetto fra i due, ma non è questo il punto, il rispetto ahimè non fa la storia e quando sono in gioco conflitti laceranti sono ben altri i fattori che entrano in gioco. È solo un esempio ce ne potrebbero essere molti altri, ma è meglio non dilungarsi sui dettagli.

Mi si potrebbe rispondere: “è un film”! E ciò è indubbiamente vero, ma se è un film che si occupa di ricostruire una vicenda reale ed addirittura di rendere giustizia ad alcuni fra i suoi protagonisti, allora dovrebbe almeno darmi l’opportunità di sapere che cosa è vero e che cosa no, altrimenti veramente trasformiamo la storia in una favola rassicurante e ciò non serve a nessuno.

Volendo il punto è sempre lo stesso, l’oblio della politica e non c’era forse da aspettarsi molto di più da un film liberamente ispirato all’insulso tomo scandalistico di Paolo Cucchiarelli Il segreto di Piazza Fontana. Su questo libro ha detto tutto quello che c’era da dire Adriano Sofri, con il suo meritorio libretto 43 anni, liberamente consultabile on-line sul sito www.43anni.it e senz’altro per noi giovani ignoranti è senz’altro più importante consultare questo che vedere il film o leggere il libro di Cucchiarelli, ma in negativo può anche permetterci di comprendere che cosa veramente manca a queste opere per essere credibili.

Entrambe mi sembra rinuncino – come già detto- alla critica. Il film di Giordana lo fa in maniera più aggraziata e rispettosa, il libro di Cucchiarelli in maniera volgare e cialtronesca, entrambi comunque non rinunciando ad essere “alla moda”. Cucchiarelli si vanta sostanzialmente della sua ignoranza, perché questa lo renderebbe indenne dal pregiudizio e ricavare appunto dalla vicenda di Piazza Fontana non un discorso politico, ma un pamphlet perfettamente in linea con il gusto complottistico incoraggiato dagli aspetti più deteriori della rete, è senz’altro un sintomo di miseria, più che di quella freschezza, di quello sguardo libero da pregiudizi che ci permetterebbero di far affiorare una verità negata.

Con che coraggio si può fare di Pinelli un personaggio coinvolto nell’organizzazione della strage senza oltraggiare lui, la sua famiglia, i suoi compagni, che tanto strenuamente si sono battuti per riaffermare una verità seppellita da un oceano di violenza. Come si può ancora dopo tutti questi anni tornare ad accusare l’anarchico Valpreda di aver messo una delle due bombe che secondo Cucchiarelli e la sua strampalata tesi del raddoppio (due bombe: una anarchica e dimostrativa, una fascista e letale) avrebbero provocato la strage quel giorno di Dicembre? Anche qui si insulta con la spocchia di chi crede di poter giocare ad un macabro gioco di società con la vita e le storie delle persone, chi ha lottato perché un innocente, un capro espiatorio potesse uscire indenne dalla macchina tritacarne di una giustizia faziosa.

Parliamo di grandi lotte democratiche ed è questo forse il grande lascito di quella vicenda, parliamo di controinchieste e non di paccottiglia complottistica, parliamo appunto di ragionamenti collettivi, fatti con acume politico e critico, di messa in comune di esperienze per un fine comune, non per vendere libri o propagandare un’immagine di giornalisti detective, ma per salvare la vita e la memoria di persone concrete e contribuire allo sviluppo di una coscienza democratica. Mi fermo qui, altro ci sarebbe da dire, ma preferisco limitarmi a suggerire qualche spunto di riflessione e nient’altro, quanto al “resto” la discussione è aperta.

R.B.

1 comment so far ↓

#1 simenza on 04.10.12 at 13:37

Credo che quando film o libri decidono di andare a toccare dei nervi scoperti – e la nostra società si basa fondamentalmente su una mistificazione della narrazione di quegli anni – ciò che emerge è sempre più uno spaccato psichico e sociale dell’oggi, che non una ricostruzione storica dell’argomento.

La riduzione della lotta politica a spettacolo, a spettacolo di genere poliziesco anzi, racconta benissimo quale sia il livello di raccontabilità che questa società concede di queli eventi.

Si passati dal rimosso, dal racconto della violenza politica quasi solo dal lato rivoluzionario, alla ricostruzione complottistica ma, praticamente, apolitica.

La verità che non si deve dire è la potenzialità rivoluzionaria di quegli anni, dove davvero l’abbattimento dello Stato non era utopia. Banalmente qualcosa che si scontra con il giudizio di “utopisti fuori dal mondo” che i movimenti comunisti extra pci (ma anche anarchici) meritano secondo la vulgata odierna.