Dal diritto allo studio al diritto al “prestito”

Sapienza

Dai prossimi anni forse non avremo più l’università di massa. Non l’università pubblica, ma l’università popolata da studenti che provengono da famiglie prevalentemente monoreddito, che non hanno una casa di proprietà o che al massimo ne hanno una sola, ma con un nucleo familiare di sei o sette membri. Le lotte studentesche sessantottine, più che i principi formalissimi della costituzione, hanno sancito questo diritto. “Anche l’operaio vuole il figlio dottore”, diceva una canzone. E certo, non era mica facile. Ma ora l’operaio può sperare al massimo che il proprio figlio diventi operaio, altrimenti c’è il baratro della disoccupazione.

Non voglio essere catastrofista, durante le crisi il ceto medio è quello che si lamenta, ma il ceto che si aggira sui 10 mila euro di Isee annui, se non di meno, è quello che soffre di più. Non voglio neanche inscenare una guerra tra poveri, ma resta il fatto che il povero vero se non ha la borsa di studio o la casa dello studente non può assolutamente permettersi il diritto, non il lusso, di studiare.

Questo diritto potrebbe non esistere più. La Gelmini gli aveva già dato un bel colpo, Monti, dal canto suo, promette i decreti attuativi della riforma e comincia a portare avanti alcune proposte scellerate, come quella di tassare i dottorandi. Ma i tagli all’istruzione della scorsa riforma adesso iniziano a farsi sentire: come distribuirli? Non certo tagliando i fondi delle università private, che potrebbero andare avanti anche senza e che tuttavia già da qualche anno percepiscono parte delle borse delle aziende per il DSU (Diritto allo Studio Universitario). Ma tagliandoli alle università pubbliche, che così sono costrette ad aumentare le tasse di iscrizione e a tartassare i fuori corso. E soprattutto alle DSU, che erogano borse di studio e posti alloggio per gli scarti sociali che tanto, nella condizione di crisi attuale, è meglio entrino subito a riempire le fila dell’esercito di riserva.

I finanziamenti, com’è noto, ormai da molti anni non passano più direttamente dallo Stato agli enti interessati, ma per un tramite, la Regione. E la presidente della Regione Lazio, la famigerata ex sindacalista Polverini, ha dato il colpo di grazia a tutta questa catena di tagli.

I dati di partenza sono i seguenti: nel Lazio la differenza tra gli studenti richiedenti il posto alloggio e gli studenti che effettivamente lo prendono è di 9 mila, ovvero mancano 9 mila posti alloggio; molti di questi, inoltre, devono essere ristrutturati; e, nella sola città di Roma, il prossimo anno verranno chiusi ben quattro studentati, pari a 440 posti, rimpiazzati dai soli 172 di uno studentato appena ristrutturato. Per le borse di studio alla LazioDisu della Sapienza verranno tagliati 5 milioni di euro e, per recuperarli, bisogna sperare che il prossimo anno all’università si iscriva molta gente e che ci siano tanti fuori corso perché i fondi che arrivano dallo Stato sono, a livello regionale, solo di 3 milioni di euro, mentre i fondi maggiori, quasi 30 milioni a livello regionale, provengono dalle tasse degli studenti iscritti.

In tutto ciò, la domanda che si è posta la nostra Polverini è “chi colpire di più?” Necessitando di un buon bacino elettorale per le prossime elezioni non può certo colpire chiunque. E soprattutto non i propri cittadini. Ecco allora che da un po’ di anni è stato inventato il “Me lo Merito”, un’agevolazione per i pendolari rivolta esclusivamente agli abitanti del Lazio che studiano dentro la propria regione, ma in un paese differente da quello di residenza. Gli abitanti del Lazio hanno così l’abbonamento ai treni quasi gratis. I fuori sede delle altre parti d’Italia e gli stranieri (per lo più albanesi, iraniani e cinesi) che usufruiscono dei servizi Laziodisu è meglio che vadano a piangere a casa loro. C’è chi dice “l’Italia agli italiani” e chi dice “il Lazio ai laziali”, ma la sostanza è sempre la stessa.

Resta tuttavia il problema relativo all’ente Laziodisu. Che farne di un ente che eroga borse di studio e mantiene degli studentati, se progressivamente i fondi per questi servizi andranno scemando fino a sparire? Il Piano Triennale per il DSU del Lazio, redatto verso la fine di febbraio 2012 dalla Regione, dichiarando «difficilmente sostenibili» i costi per le prestazioni del Diritto allo Studio per i prossimi tre anni, progetta una razionalizzazione del numero dei vincitori: un’ulteriore restrizione dell’ Isee, limiti d’età (quindi, bisognerà cominciare l’università subito dopo il liceo, guai a sgarrare di qualche anno!) e, soprattutto, “quote relative al merito”. Cosa voglia dire quest’ultimo elemento non è chiarissimo nel capitolo dedicato alle borse, ma diventa più esplicito in quello riguardante i posti alloggio. Qui si dice che le Case dello studente diventeranno dei Campus Universitari simili a quelli anglosassoni, in cui solo una parte apparterrà agli studenti con reddito Isee basso e la restante parte sarà a pagamento e verrà conferita solo in base al merito.

Ma non è finita qui. Il Piano Triennale lamenta anche uno scarso successo dei prestiti d’onore, i quali non vengono erogati dalla Regione, ma da banche o da intermediari finanziari. Quindi, Lazioadisu – propone il Piano – dovrà rilanciarli e pubblicizzarli. Ci si potrebbe chiedere a cosa interessi alla Regione di tali prestiti se sono di competenza delle banche. Ma la risposta è più che chiara. Da alcuni anni ormai Laziodisu non gestisce più direttamente i servizi che eroga: le mense sono tutte private, così come le attività di pulizia e manutenzione degli studentati. E, tra l’altro, molte delle sue funzioni vengono trasferite continuamente ad un certo “Consorzio Polifunzionale Pegaso”. Insomma, Laziodisu non serve più come ente erogatore di Diritto allo studio, ma deve trasformarsi in ente che fa da tramite fra gli studenti e le banche.

Brava Polverini, il Lazio può diventare capofila nello smantellamento del Diritto allo studio!!! Non c’è neanche bisogno di aspettare i decreti attuativi della riforma Gelmini. Ahh, questo vuol dire essere al passo coi tempi! I tempi in cui l’istruzione, e l’Università in primis, deve liberarsi di questi poveracci che vogliono studiare, che vogliono diventare “dottori”. I tempi in cui si deve essere reazionari, si deve tornare indietro rispetto ai diritti conquistati, perché quello che conta è stare in Europa o nel G8 sacrificando la propria popolazione. I tempi in cui si possono spendere ben 10 miliardi di euro per l’acquisto dei caccia bombardieri F35 e far girare l’economia delle banche più che quella della gente comune. I tempi in cui pare non si debba più sentir parlare di emancipazione e si debba piuttosto restare tutti ai propri posti, chi nasce ricco deve restare ricco, chi nasce povero deve restare povero.

Ma, ricorda, cara Polverini, che i tempi cambiano. Ed il finale del ritornello della canzone della Contessa l’ha sempre detto.

G.C.