Piccoli Olocausti quotidiani

clandestino "scotchato"

La storia è una storia semplice, fin troppo comune purtroppo. È la storia di un rimpatrio così come ce ne sono tanti, una di quelle tante storie negate non solo dall’informazione, ma anche dalla cosiddetta pubblica opinione che i detti media dovrebbero formare.Il caso infatti nasce proprio da qui, questa volta (e non è certo la prima) abbiamo un documento: un regista ha infatti fotografato un immigrato algerino a bordo di un aereo Roma-Tunisi scortato dalla polizia con un pezzo di scotch sulla bocca ed i polsi legati. Scandalo telecomandato, soprattutto perché rigorosamente confinato nei limiti che spettano ad una notizia “marginale”, sia perché letteralmente bandita ai margini della carta (dei giornali), sia perché oggetto della notizia sono proprio due marginali (gli immigrati in questione infatti pare fossero due).

Comunque abbastanza da far smuovere il ministro Cancellieri, la quale è andata riferire al Parlamento su questi fatti e sebbene le sue parole siano state indubbiamente di circostanza, in una certa misura esse sono rivelatrici. Sentire in che modo infatti coloro che hanno il potere intende scusarsi di un fatto simile, ci fa anche comprendere cosa secondo loro dovrebbe essere per noi motivo di indignazione, cosa di questa vicenda ci dovrebbe interessare come cittadini.

Le parole del ministro sono state innanzi tutto volte alla colpevolizzazione dello scotch, indicato come vero colpevole della vicenda ed in secondo luogo ad una ricostruzione delle motivazioni che avrebbero spinto i due agenti ad utilizzarlo. Lo scotch infatti, ha ammesso il ministro, sarebbe lesivo della dignità umana e quindi fortemente controindicato per la polizia di un paese europeo, altro discorso vale per le morbide mascherine chirurgiche assai più digeribili per i raffinati stomaci dei repressori del vecchio continente, che d’altra parte non disdegnano affatto (ovviamente) la possibilità di ricorrere a misure coercitive nelle operazioni di rimpatrio qualora la situazione lo richieda.

E qui veniamo quindi inevitabilmente alla questione delle motivazioni: i due solerti poliziotti infatti avrebbero sì esagerato ricorrendo all’odioso scotch per fissare la mascherina sulla bocca dell’immigrato (permettendogli appena di respirare), ma avrebbero fatto ciò perché i due come bestie imbizzarrite pur di non farsi rispedire indietro avevano preso a mordersi le labbra per ferirsi, rischiando peraltro di infastidire gli altri pacifici passeggeri con ineleganti sputi rossastri. Insomma un eccesso di solerzia certamente condannabile nell’ambito di un’ ordinaria violazione di diritti umani: quello su cui noi dobbiamo concentrarci è insomma lo scotch, è quello l’evento “estemporaneo” su cui prontamente si farà luce, il resto è prassi. Al massimo, volendo essere severi potremo parlare dei poliziotti coinvolti come di mele marce, che per un eccesso di zelo in spregio al buonismo di alcuni hanno ecceduto nel loro compito. Fine della storia, non ci interessa altro.

Ora, una semplice considerazione mi sorge spontanea: veramente dovrebbe appassionarci così tanto un pezzo di scotch, quando è l’ordinarietà delle pratiche di respingimento che dovrebbe sconvolgerci (ed anzi essa viene candidamente invocata dal ministro per sminuire il fatto questione, come a dire: volete che questi cani siano rispediti a casa? Questo è quello che dovete digerire!)? Evidentemente no. Ma come potremmo mai permetterci di fare un rilievo simile senza essere tacciati di essere (ciò che per altro siamo) degli spregevoli comunisti? Il pregio forse di tutta questa vicenda, non va certo trovato nella pantomima nello stato di diritto a cui ci tocca di assistere, quanto in ciò che costituisce la sottotraccia di essa: la realtà quotidiana di certe pratiche.

Pensiamoci un attimo, un uomo attraversa il deserto perché pensa che il mondo sia di tutti, perché pensa di fare quello che tanti cervelli in fuga -e non- nostrani continuamente fanno, ma lui non può, perché per lui ci sono delle quote, dei limiti da rispettare e questi limiti sono talmente importanti da giustificare chi per rispedirlo indietro pensa di legarlo come un salame con o senza scotch, ma allo stesso modo lui pur di non farsi rispedire indietro pensa di ferirsi a sangue e ciò accade talmente spesso da prevedere nel kit di scorta del clandestino da rimpatriare una mascherina chirurgica.

Sensatamente direi che più che lo scotch, più che la casistica della repressione, è questo che dovrebbe interessarci: quanto pensiamo di poter andare avanti ancora respingendo alle porte di Roma in fiamme i barbari invasori? Non è certo difficile vivere, pare, con questo peso sulla coscienza per gli europei e non solo, ci è richiesta in fondo solo una quota ordinaria di indifferenza (che non è mai faticosa), la stessa che era richiesta al popolo tedesco quando gli ebrei misteriosamente scomparivano. Quando veniamo a sapere un fatto del genere o vediamo per esempio per strada bighellonare senza meta, con la testa bassa, un richiedente asilo, è quella “vergogna di essere umani” di cui parla Primo Levi che dovremmo provare e badate che non si tratta di uno sterile sentimento di colpa o di rimorso, ma di una rabbiosa sofferenza per il limite che questo essere umani contempla nel mondo così com’è. Questo dovrebbe essere il più quotidiano di tutti i sentimenti di fronte a quell’Olocausto che instancabilmente e microscopicamente ritorna agli angoli delle strade.

P.S.: Quando le bestie imbizzarrite si sono placate, lo scotch è stato immediatamente rimosso. Possiamo davvero dormire tranquilli.

R.B.