Elezioni francesi: un altro punto di vista

Il dato più significativo del primo turno delle presidenziali in Francia è senz’altro la poderosa affermazione del Fronte Nazionale di Marine Le Pen, è infatti attraverso questa  che si può anche leggere gran parte del resto.

Sarkozy è senz’altro il grande sconfitto finora ed anche (come improbabile) dovesse vincere il secondo turno, la sua crisi politica sarebbe comunque inaggirabile. Poi c’è la sinistra, quel Francois Hollande che viene dalle scuole dell’elite e che un tempo era considerato il Blair francese, il quale si presenta con un programma che si propone di invertire la rotta a Bruxelles, imponendo un’accelerazione del processo di unificazione europea e l’avvio di una nuova fase redistributiva (attendendo magari che magari cambi la mano anche in Germania).

Alla sua sinistra Jean-Luc Melenchon, che attorno a sé è riuscito ad aggregare grande parte dell’estrema sinistra e il cui impegno è stato teso da una parte ad una massimalizzazione dei programmi di Hollande e dall’altra a rilanciare un immaginario rivoluzionario tutto francese, che muove dai fervori a giacobini e comunardi ed in nome dell’egualitarismo rende parte del sogno l’altro elemento sociale fondamentale della realtà francese: gli immigrati.

Ma ritorniamo al punto, abbiamo infatti cominciato dicendo che, senz’altro, i sommovimenti  politico-sociali più rilevanti sono quelli che coinvolgono  la destra e che non a caso fanno di Marine le Pen la vera vincitrice di questo confronto elettorale. Chi ha votato l’FN? I media e non solo si sbizzariscono su questa domanda, ma non fanno che girare a vuoto sempre intorno allo stesso punto. La tesi è questa: Il Fronte Nazionale coagula un voto di rabbia, si fa megafono di un grido di dolore che proviene soprattutto dai settori marginali della società, che non trovando più nella sinistra radical chic la loro espressione politica si rifugiano nel rassicurante, ancorché aggressivo ventre della xenofobia e del populismo. Un’insofferenza a tutto tondo, che rifiuterebbe in blocco quella libera circolazione di capitali e persone dettata dal modello europeo e vissuta come distruttiva per l’economia nazionale. Ora, è proprio vero tutto ciò?

Senz’altro non è rispondente alla realtà pensare che a votare la Le Pen siano un esercito di teste rasate, ma chi sarebbero questi non meglio identificati “poveri” che la voterebbero? La verità è che sull’argomento, pur di fare spicciola polemica politica, si fa una grande confusione. Sembrerebbe infatti che a votare a destra siano le grandi periferie, i proletari ed a votare a sinistra la classe media privilegiata e non è così. IL fronte Nazionale fa il pieno in verità nella Francia profonda, rurale, nelle città medie come Marsiglia e Nizza, nelle ex zone minerarie ed operaie, mentre nelle grandi periferie urbane (ed in generale nelle grandi città) i dati ci dicono che a fare il pieno è stato proprio Melenchon. Non voglio certo prendere sotto gamba l’avanzata della destra, ma ricollocarla nel suo contesto sociale e territoriale. C’è insomma in Francia un nuovo blocco sociale di destra che va costituendosi ed a questo proposito è opportuno non dimenticare il clamoroso insuccesso del Fronte alle scorse elezioni politiche, segno del fatto che gli stessi elettori che ora lo sostengono avevano sostenuto l’Ump.

Non si tratta quindi a mio avviso di un voto di rabbia, ma di un vero e proprio progetto politico, che i Le Pen comprendono a pieno, la partita è quella di una ricomposizione delle destra che non escluda più l’estrema e che metta in cantina la pregiudiziale antifascista, proprio perché è quel partito stesso non ad essere diventato antifascista, ma ad incarnare una destra per cui il carattere repubblicano non è più primario. E’ questo il motivo per cui la Le Pen non sembra al momento avere interessi ad appoggiare Sarkozy, proprio perché, in vista anche delle elezioni amministrative, il suo ruolo politico può essere ben più ampio nel contesto di una disgregazione delle destra, rifondata proprio intorno al fallimentare progetto di Sarkozy, che aveva messo in cantina de Gaulle e proposto se stesso (il superman pariolino) come mediatore fra un istanza di grandeur europea ed una identitaria, xenofoba ed ultimamente perfino protezionistica.

Ora chiudiamo sulla sinistra sottolineando due cose. La prima: cerchiamo di fare maggiore attenzione quando parliamo di un voto “borghese” per la sinistra, rischiamo infatti di mancare completamente il punto. Se intendiamo per borghesi gli abitanti della metropoli possiamo anche intenderci (sebbene la scelta del termine sarebbe quantomeno ambigua), ma se invece parliamo in generale di categorie intese vagamente come privilegiate, facciamo attenzione: sono borghesi gli abitanti delle periferie? Gli studenti? o semplicemente chi non lavora in fabbrica? Direi che è ora di rivedere queste categorie, anche per contestualizzarle meglio nella crisi attuale. Tutto questo discorso mi sembra vittima di un certo pregiudizio moralisitico e- questo sì- populista.

E’ un bene che la sinistra parli ai settori più avanzati della produzione, è un male che non sappia in verità che farsene di un consenso che il più delle volte le sembra regalato, per la manifesta incapacità di farne qualsiasi cosa. La destra che si va costituendo non solo in Francia, ma anche negli USA ( I Tea-party con assai meno efficacia), in Italia (la Lega, che certamente ha fatto scuola ed ora ha i suoi bei problemucci) è una destra legata al territorio, che pensa a ricostituire la sovranità a blocchi, riterritorializzandola egoisticamente laddove essa ci è stata strappata.

Ciò che la sinistra deve fare è porsi anch’essa il problema della sovranità, ma in forma espansiva, cercare un modo non egoistico di ripartire dai territori connettendoli, facendone luoghi aperti e rilanciando senz’altro un immaginario rivoluzionario che sia il non luogo dell’entusiasmo collettivo. Secondo: non dimentichiamoci mai gli immigrati! Quando si dice i ceti popolari vanno a destra non dimentichiamo gli immigrati senza voto! Non lavorano forse nelle fabbriche in Italia come in Francia? Non forniscono forse servizi fondamentali? Non hanno spesso un livello di istruzione medio assai più elevato degli autoctoni? Non esprimono uno straordinario desiderio di creare una vita diversa, uscendo dalla condizione di insopportabile marginalità in cui sono costretti? Attenzione quindi quando si piange il consenso popolare perduto e non si vedono le nuove opportunità che certo impongono cambiamenti profondi di paradigma (troppo onerosi per chi cerca solo voti).

R.B.

2 comments ↓

#1 Simenza on 05.01.12 at 15:56

Resta da dire che la lettura qui proposta si apre ad un’interpretazione troppo ottimistica….

Le Banlieu non sono tutte uguali e non credo che fosse difficile immaginare, per dire, un successo enorme del Front de Gauche a Ivry. Certamente è esagerato dire che la sinistra, soprattutto quella radicale, campi solo dei voti borghesi.

Ad ogni modo, tra i giovani il candidato con più voti è risultata proprio la La Pen. Questo segna più il fallimento di Sarkozy (che in questa classifica va decisamente male) che non il disagio della sinistra, ma è un campanello d’allarme importante.

La Le Pen ha trasformato, come è ben detto in questo articolo, il Fronte Nazionale in un partito più leghista che non fascista. In parte lo notavo anche io…

Ma non possiamo non notare come la Le Pen sia andata oltre quel modello. Di fatti, non mente quando parla del suo radicamento operaio e nei settori autenticamente prolò.

Il punto, semmai è notare come questa avanzata non sia ai danni dell’estrema sinistra, ma semmai di Sarkozy e dei socialisti. Sono le risposte in qualche modo “moderate” (l’UMP di moderato, in realtà ha poco più della facciata) ed europeiste ad essere diventate poco credibili in quei settori.

Così il PSF ha costruito la sua vittoria trai BoBo parisiens (prima volta che un candidato socialista vince a parigi al primo turno delle presidenziali), forti anche della debolezza Sarkoziana… Il Front de Gauche, invece ha preso voti in tutte le sue roccaforti storiche, segno che la campagna offensiva ha sortito i suoi effetti.

E ci sono almeno altri due segnali da tenere in considerazione:

– L’insuccesso elettorale dei verdi e dei moderati, segno che la palude del centro ormai non conta molto in Francia.
– Il fatto che complessivamente la destra francese abbia fatto meno che in passato.. e la sinistra di più.

In conclusione, credo che sia necessario dare la giusta attenzione al successo del Fronte in Francia. Ma la crisi della sinistra, di cui parlava sia il mio pezzo, sia in parte questo, la si vince non restando sulla difensiva, ma provando ad attaccare…. e non possono essere solo i partiti, coi loro troppi limiti, a farlo.

#2 Roberto on 05.02.12 at 00:59

Io mi sono limitato a sottolineare come fosse riduttivo proporre un’alternativa fra proletari che votano a destra e borghesi che votano a sinistra. E’ un dato di fatto che il Fronte nazionale nelle grandi città non abbia sfondato, che si tratti di un fallimento di Sarkozy è indubbio e nel post è detto ripetutamente, anche la Lega comunque ha un radicamento operaio molto solido, semplicemente è territorialmente localizzato a differenza di quello del Fronte Nazionale. Nessuno vuole sminuire la gravità, ma neanche detto francamente proporre di risolverla sul terreno del socialismo nazionale, casomai il vero limite di Melenchon sta proprio qui