Grecia: default pignorato

Non si è forse arrivati a quello tutti i sapienti analisti economici europei temevano? Il gran default (stra-annunciato, se non addirittura già da tempo avvenuto) della Grecia? Difficile infatti pensare che un Paese possa arrivare ad onorare titoli ormai volati al trenta per cento di rendimento. E allora? Si profila la catastrofe? Si spera di no, perché il default è una pratica economica controllabile, è una tecnica, un argentino una volta mi ha detto: è come la morte fa parte della vita non bisogna averne più di tanto paura.

Del resto anche il premio Nobel maudit Paul Krugman predica da mesi della necessità di un default pilotato europeo, piuttosto che intraprendere una politica di austerità decennale per ridurre il debito e la crescita (mito che dovremmo ripensare totalmente), tenendo al palo l’inflazione e con essa anche gli interessi del debito. Perché infatti questo totem antinflazionistico di sapore weimariano cavallo di battagli dei governi tedeschi? È la divinità protettrice di questo genere di circolazione fantasmatica del denaro, laddove chi è veramente ricco non sa neanche quanti soldi ha e non solo perché siano evidentemente tanti, ma perché condizione della ricchezza, per loro (ma la canzone la cantano anche a noi), è proprio la circolazione del denaro più che il suo possesso. O, per essere proprio filosofi, parlerei di un possesso circolante o sfuggente.

Ma non dilunghiamoci su questo e torniamo alla singolarità greca, così importante in questo momento. La tragedia è alle porte, i sette contro Atene (stavolta) si sono radunati e ed ormai è chiaro che anche loro hanno intenzione di pilotare il default. Ma in che modo? Evitarlo è infatti impossibile, allora non resta che pianificarlo con una trattativa con i privati per una riduzione ingentissima dei debiti da pagare in questa tornata ed una nuova ondata di tagli e massacri sociali pesantissimi, per garantire agli squali che potranno piano piano spolpare tutta la vittima e, soprattutto, che sono sempre loro a decidere il gioco.

È ormai quindi evidente che il default non è una calamità cosmica, ma una politica e come tale vive all’interno di rapporti di forza: si può negoziarlo, quando diventa inevitabile, alla tedesca, dilazionando il debito, mantenendo gli interessi ed imponendo il grosso degli effetti della mancanza di liquidità sulla popolazione (che progressivamente, forse per anni si troverà fiaccata da politiche di austerity, per la stupida pretesa di non intaccare gli interessi dei creditori) o lasciare che siano i greci a fare default e decidere loro che sirtaki ballare. Dire: al momento i soldi non ci sono, vi pagheremo quando ci saranno, ma gli stipendi, i salari e le pensioni, non li posso più tagliare.

In tal modo certo interverrebbe l’inflazione, ma essa sarebbe compensata dalla riduzione (conseguente) degli interessi sul debito, proprio quello che l’attuale gestione della crisi tende ad evitare. È ora che i greci, come tutto il popolo europeo, riprenda in mano il proprio destino, pretenda l’insacrificabile, il sacro che si oppone al sacrificio, per continuare ad esistere, a riprodursi socialmente quanto è necessario, svincolati dalle compatibilità finanziarie, che hanno permesso l’arricchimento di pochi ed imposto tramite la tirannia antiinflazionistica più che ventennale, l’eterno mantra del “non ci sono soldi, tagliamo, l’Europa ce lo chiede”. Il debito è la misura della nostra povertà? Ebbene almeno che questa povertà sia garanzia di libertà, che non sia schiavitù, vincolo antisociale. In un momento di crisi, si deve liberare la capacità sociale di produrre con tutta la sua creatività, ma prima di tutto ciò si deve garantirgli la possibilità di vivere. Rischio Grecia in tutta Europa? Se sarà un contagio di democrazia, sarà il benvenuto.

R.B.

2 comments ↓

#1 odoacre on 02.11.12 at 18:06

domani in Grecia si vedrá se il parlamento accetterá le condizioni di UE FMI. se la legge dovesse passare dubito fortemente che gli aiuti, la “seconda transh”, potranno far qualcosa di piú che non allungare ulteriormente l’agonia. il popolo greco é evidentemente allo stremo e imporgli ulteriori politiche di austerity puó avere solo effetti recessivi e depressivi. se d’altrocanto la legge non passasse immagino significherebbe l’uscita immediata della Grecia dalla zona euro. la Grecia avrebbe infatti davanti a sé l’unica e classica strada dell’inflazione. succederebbe qualcosa di molto simile a quello che successe in Argentina, quando 10 anni fa per salvare il salvabile lí si andó in default e si slegó il valore del pesos da quello del dollaro inpennando l’inflazione. ma ho paura che ben altra conseguenze, questa volta politiche, ne deriverebbero. sento infatti che l’estrema destra si sta opponendo alle politiche di austerity e che non andrá domani a sottoscrivere il nuovo patto con le banche. considerando che non tanto tempo fa in Grecia c’erano ancora i “colonnelli” al potere, non vorrei che il default e la successiva uscita dall’euro, con conseguente isolamento economico e politico del paese, facilitasse una presa di potere autoritaria di stampo fascista.
al di lá di questo, resta ancora per me un fatto sorprendente l’inviolabilitá all’interno del discorso politico della legittimitá del debito pubblico. esso é lí, cifra mostruosa e di origini poco chiare, a tenere sotto scacco l’intero mondo. se veramente si considerassero tutte le possibilitá di uscita, tutte le alternative per risolvere il problema econimico, sociale e democratico della Grecia (che indirettamente é anche il nostro) non dovrebbe sfuggire quello che Rafael Correa, presidente in carica dell’Equador, ha fatto qualche anno fa. lui ha semplicemente detto: “non pago”. almeno non tutto. Correa ha imposto al FMI di “rinegoziare il debito” perché, a differenza dei nostri rappresentanti eletti e non, ha voluto vederci chiaro e capire in maniera esatta a chi e perché il suo paese doveva pagare un debito corrispondente al 25% del pil. operazione non facile perché le banche private e straniere malvolentieri svelano i particolari delle proprie operazioni. ad ogni modo Correa scoprí che buona parte di quel debito era stato contratto illegamelmente e che quindi si trattava a tutti gli effetti di una rapina.
ecco, oltre i governi tecnici e i probabili rigurgiti fascisti c’é qualcosa d’altro che si offre all’Europa che oggi vediamo cosí pronta a sacrificare la sua democrazia e la sua sovranitá. qualcosa che potremmo chiamare Politica.

#2 Ray E. Davies on 02.11.12 at 23:31

Rifiuto del debito in blocco – senza distinzione tra legittimo e illegittimo – e rivoluzione.
Facile a dirsi, certo… eppure è l’unica prospettiva di cambiamento possibile.