Che a difendere la Grecia bastino trecento spartani armati di buona volontà il mondo lo sa dai tempi di Erodoto, ma le cancellerie – sì, come usava dire nei secoli del colonialismo – della grande Germania e alleati non vogliono sentire ragioni. Hanno degli accordi pendenti con lo stato ellenico e – perdio! – li faranno rispettare, a costo di mandare le cannoniere a disturbare il placido spettacolo delle luminarie del Pireo… o, per dirla alla moderna, a costo di negare la concessione del secondo pacchetto di aiuti al governo di Papademos. Il fatto è che lo stato greco ha promesso per quest’anno di impegnare il 3% del proprio Pil per l’acquisto di armamenti, in valore assoluto ben 7 miliardi di euro, rigorosamente made in Germany. Naturalmente anche lo sparring partner di sempre, Parigi, non resterà a bocca asciutta, e una bella fetta del totale finirà anche nelle casse dell’industria bellica francese. Tanto pagano i greci.
Il menu indigesto prevede 6 fregate e 15 elicotteri offerti, non molto generosamente, da Sarkozy alla cifra di 4 miliardi di euro, più un bel lotto di motovedette, della stessa provenienza, da 400 milioni di euro. Si tratta di un accordo estorto all’ex-premier Papandreou durante una visita nella capitale francese risalente a maggio scorso. Una cortesia, un gesto di buona volontà: d’altra parte, il presidente francese e la Merkel li stavano salvando da un sicuro default!
Appena due mesi prima il primo ministro greco aveva dovuto cedere ad altre pressioni – questa volta era stato il turno della Germania di passare alla spremitura delle già stressate finanze elleniche – per l’acquisto di 2 sottomarini targati TyssenKrupp al prezzo di 1,3 miliardi di euro, corredati da una robusta tranche di 223 rombanti carri armati tipo Leopard II, del costo di 403 milioni di euro. Per inciso: in quell’occasione Papandreou riuscì anche a strappare uno sconto su un impegno che non era stato il suo governo a prendere: i sottomarini in origine erano 4 e la commessa risaliva al precedente esecutivo di destra di Karamanlis. La sostanza comunque non cambia: una volta a te ed una a me, delizie dell’asse carolingio.Alla Grecia si sono dunque imposti due ordini di condizioni: i tagli alla spesa pubblica, questi reclamati a gran voce, alla luce del sole, e, dicono quelli che li hanno richiesti, perfino “formativi” per una società spendacciona e lassista; e, nell’ombra, perché meno commendevole agli occhi del mondo, il sostegno, a carico dei contribuenti ellenici, dell’industria degli armamenti francese e tedesca. Con la differenza che questi soldi, diversamente da quelli per ospedali, pensioni e salari, i greci possono spenderli, anzi devono.
Il “vizio della storia” aiuta a ricostruire i movimenti di vasta scala, come sono le direttrici del colonialismo, che incrociano da più di cento cinquant’anni su quella penisola sprofondata nel Mediterraneo. Quando, nel 1830, quel popolo trovò la propria indipendenza dall’impero Ottomano si era già costituito in repubblica. Nella rada di Navarino però erano state la marina inglese, francese e tedesca a sfasciare la potenza navale turca. Si trattava di liberatori impegnativi, e l’autonomia nacque con un trattato che sanciva la condizione di protettorato per la Grecia. Una pressione che costò al paese una crisi costituzionale risolta dall’assassinio del presidente greco. Gli subentrò una monarchia straniera, perché le potenze amiche vollero così. I greci non avrebbero saputo davvero dove sceglierselo un re, e allora anche a questo pensarono i liberatori. Così quel fiero paese si trovò suddito di Ottone di Wittelsbach, un… tedesco.
Benvenuti in Grecia, cento ottant’anni di destabilizzazione.
F.B.