Non me ne voglia il “compagno” Napolitano, ma il dado è tratto e la pace sociale può e deve andarsi a fare benedire. La riforma Marchionne del Governo Monti (come l’ha chiamata R.B. in un vecchio articolo) sta prendendo corpo e sta prendendo corpo sugli stessi punti da cui era cominciato il dibattito: l’articolo 18. Beh, è arrivata l’ora di staccare la spina a questo Governo tecnico e rispedirlo ad insegnare palle liberiste dentro le tristi mura della Bocconi.
Mesi di stallo per partorire un mostro che rimanda la riforma al welfare al 2017 facendo intanto piazza pulita dei diritti dei lavoratori. Tanto, diciamolo, con una riforma per lo sviluppo del genere, i soldi non ci saranno neanche nel 2017… si tratta di una presa in giro estremamente facile da “sgamare”.
Ma se questo governo di tecnici inetti non ha, a detta sua, nessun bisogno di cercare “consensi”, visto che non deve ripresentarsi alle elezioni (dimostrando un’idea della democrazia al quanto bizzarra e davvero da “società amministrata” di adornianana memoria, più ancora che foucoltiana), i partiti che devono votare la riforma sì. E qui casca l’asino.
Tutti i movimenti che fino ad ora tenuto una linea dura, ma educata, hanno la grande possibilità di mandare a casa governo e parlamentari pro Monti (cominciamo, per esempio, dall’insopportabile Veltroni). Per caratteristiche intrinseche, questo governo non può reggere l’urto di uno scontro serio con la CGIL, a patto di dimenticarci di vecchie divisioni a sinistra e non isolare la Camusso.
Una risposta all’altezza delle pratiche NO TAV, degli scioperi della FIOM può licenziare per giusta causa Monti ed il suo governo.
Il rischio di perdere è grandissimo, ma non facciamoci prendere dallo scoramento: se si vince – e si può vincere – facciamo saltare il banco, rimettendo in discussione un mondo di cose.
Non è il momento per la timidezza, tiriamo fuori i denti.
Simenza